Valorizzare le emozioni per trovare il proprio posto nel mondo

Intervista a don Claudio Avogadri - Teologo della diocesi di Bergamo

Ogni anno al Cre si affronta una tematica diversa e quest’anno è il turno delle emozioni. La tematica, però, non nasce mai dal caso: è sempre frutto di un sentire, dell’avvertire un’esigenza sociale e cristiana a cui rispondere presente come oratori al servizio delle giovani generazioni. Don Claudio Avogadri, teologo della diocesi di Bergamo, ha collaborato alla stesura tematica del progetto Cre-Grest e spiega perché nel 2022 il tema delle emozioni sia così prezioso sotto ogni punta di vista. Valorizzare il vissuto emotivo è un’operazione attraverso cui si cerca il proprio posto nel mondo.

Perché nel 2022 è importante affrontare il tema delle emozioni? Che valenza ha per un cristiano?

Il tema delle emozioni è enorme e difficilmente domabile. E c’è una ragione biblica alla base di tutto ciò. Usiamo semplicemente un’immagine: quando Dio chiama qualcuno per destinarlo a un’opera lo desidera per ciò che è nella sua integralità. È interessato al compimento della sua vita e non di una qualunque. Dio non chiama nessuno perché è interessato alle sue idee, ma per dargli compimento. La prima cosa da dire, da cristiani, è proprio questa. Proprio perché le emozioni dicono la singolarità e dicono come ciascuno di noi siano unico e imprevedibile, non potremmo mai pensare ed educare un ragazzo senza considerare quella parte di sé così singolarizzante. Le idee possono essere mie o di chiunque, invece, le emozioni sono uniche e personali.

C’è poi una risposta teologico-filosofica: le emozioni si attivano in noi -anche a livello biologico- perché ci segnalano che qualcosa da fuori è entrato in noi e a generato del movimento. Significa che qualcosa è entrato nella nostra orbita ed è atterrato sul nostro pianeta generando una reazione: l’emozione.

Come si fa a pensare di iniziare un bambino al mondo senza educarlo alle emozioni? Come si fa a educare una buona socialità e la capacità di incontro senza alfabetizzare le emozioni? Come si fa a educare a riconoscere la voce di Dio se non attraverso il canale emotivo che è la via tramite cui ci affacciamo sul mondo? L’incontro con Dio parte dall’ascolto di ciò che si muove in me e delle emozioni che provo in reazione alla sua Parola.

Nella religione cristiana, le emozioni sono sempre state un po’ tabù, qualcosa da controllare. Eppure, la Bibbia è piena di episodi in cui il lato emotivo è il vero protagonista. A cosa è dovuto questo atteggiamento? Quali sono i rischi di un’esperienza di fede vissuta imbrigliando le emozioni?

Non possiamo fingere di non aver vissuto duemila anni di storia: abbiamo un debito da pagare nei suoi confronti. Il debito è qualcosa che ci arricchisce perché costituisce il nostro tesoro, dall’altro ci ha segnato in un certo senso. Non è né bene, né male: la storia è andata così. Dobbiamo fare dei conti e fare una buona opera di genealogia ci aiuta a riscoprici sotto nuove prospettive. Per molto tempo il linguaggio della spiritualità cristiana si è forgiato attingendo non solo dal tesoro biblico, ma anche da culture extra bibliche, tra le quali quella greca è stata decisiva. I temi del “dominio di sé” operato dalla ragione e l’idea che una spiritualità possa esistere soltanto negando la corporeità e ogni legame alla terra sono pensieri che ci hanno influenzato nettamente. Da un lato ci hanno permesso di arrivare a vette di spiritualità incredibili, dall’altro oggi avvertiamo delle fatiche nel rileggere l’esperienza umana.

Ripercorrendo la storia di questo tabù, bisognerebbe fare un passo indietro e tornare al medioevo. Nonostante sia considerato un periodo cupo e di repressione, è stato un laboratorio molto interessante. Secondo la spiritualità medievale, tutta l’animalità dell’uomo -non nel senso biologico-  era integrata nel vissuto spirituale. Oggi siamo attratti dai testi medievali proprio per rinnovare alla nostra spiritualità e far riemergere la pertinenza delle emozioni che sono ciò che ci tiene legati alla vita. Imbrigliare le emozioni rischia di produrre una spiritualità alienante e repressiva.

Da cristiani, cosa si può fare per vivere a pieno le emozioni nella propria sfera spirituale? Qual è il potenziale di questa valorizzazione del vissuto emotivo?

Dei cammini spirituali che sono impostati su un atteggiamento moralistico portano sempre alla negazione di sé. Se vogliamo educare a una spiritualità cristiana, occorre sviluppare il più possibile dei cammini che facilitino l’accesso e l’aderenza al proprio sé profondo: significa avere piena coscienza di sé anche a livello emotivo. Il potenziale è enorme: non solo ci permette di diventare persone che hanno coscienza di sè, integrati con tutte le dimensioni del vivere, ma anche di rendere autentico il dono della nostra vita. Altrimenti il rischio che si corre è quella di passare una vita intera a compiere opere di bene, ma senza il cuore sarebbe gesti completamente svuotati da noi.

L’alfabetizzazione delle emozioni può essere un processo veramente utile per aiutare l’uomo a definirsi dato che è fatto di emozioni. Quali sono le basi di partenza per attivare questo percorso al CRE?

Non c’è una ricetta da seguire, ma se c’è un chiodo su cui battere: educare all’accoglienza incondizionata del vissuto. Imparare a ricevere l’altro per quello che è e non per quello che dovrebbe essere è il servizio più grande che possiamo fare all’educazione. Delle volte siamo ancora influenzati da un certo moralismo: ci viene spontaneo un approccio al discorso dell’altro che tende a dare soluzioni, a trovare strade o a dire la nostra esperienza. Invece, proviamo a lasciar esprimere le emozioni e insegna  a codificarle. Così potremo aiutare i nostri ragazzi a trovare il loro posto nel mondo che li caratterizzerà a vita. 

Un consiglio e un augurio a tutti gli oratori per sfruttare al massimo le potenzialità di questo tema.

L’augurio è quello di andare oltre all’accudimento dei bambini e degli animatori e dargli una spinta per crescere. La vera differenza è sfruttare l’occasione della fiducia che ancora ci viene accordata per scommettere sulla vita di ogni ragazzo in termini vocazionali. Se accolgo un bambino al mattino col semplice intento di preservarne le funzioni biologiche fino a sera, la nostra azione non serve a nulla. Se invece accolgo un bambino per stare accanto al suo vissuto e insegnargli, magari, a concludere una giornata come un bambino cresciuto rispetto a quello che era al mattino, allora abbiamo fatto qualcosa di grande.

 
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