Luci tra le onde della fragilità

Gli educatori adolescenti in ascolto dell'ntervento del prof. Lizzola.

Dopo Pasqua, gli oratori erano abituati a vivere un tempo di preparazione all’estate in cui gli adolescenti diventavano protagonisti. L’emergenza sanitaria ha cambiato le abitudini di tutti e ci siamo ritrovati a vivere qualcosa di nuovo. Questo tempo ci è dato, ma come possiamo viverlo? Al centro della formazione degli educatori adolescenti, organizzato dall’ufficio pastorale dell’età evolutiva, c’era proprio questa domanda. L’incontro chiamato “Luci tra le onde della fragilità” ha fatto emergere diverse riflessioni legate alle paure, alla speranza e al futuro. La serata formativa è stata presieduta dal professor Ivo Lizzola, docente dell’università di Bergamo, e moderata da Giordano Feltre, pedagogista dell’UPEE, e Silvia Bagini, psicologa della Fondazione Angelo Custode.

 

Il trauma collettivo genera un’ampia fragilità
Ciò che si sta vivendo in questi ultimi mesi è un tempo che, inevitabilmente, cambierà la società. La fragilità è amplificata e collettiva. Esistono immagini, dinamiche e sensazioni che sarà difficile dimenticare e che riconducono tutte allo stesso trauma collettivo. Le difficoltà nel vivere la fase 2 devirano anche dalla preoccupazione generata dall’uscire di casa e abbandonare un luogo sicuro. “Bisogna stare attenti a sentire il trauma nella sua verità -ha evidenziato il professor Lizzola-. Le reazioni che abbiamo solo le classiche risposte a un trauma, ma l’origine in questo caso è diversa. Non ci sarà un ‘dopo la pandemia’. Attraverseremo questa situazione e sarà un cammino di ripresa che inciderà sulle nostre relazioni. Una volta scoperta la fragilità, saremo noi scegliere cosa farne. Vogliamo averne il controllo per rimuoverla oppure desideriamo affidarci reciprocamente per rinascere?”.


Quando la fragilità si manifesta in modo così ampio, la volontà di un educatore è quella di stare accanto ai propri adolescenti. Molti oratori stanno sperimentando nuove forme di incontro online per mantenere il contatto con i ragazzi, ma per approcciarsi alle situazioni più delicate non vi è un vero e proprio metodo. “Gli adolescenti stanno vivendo e affrontando una faticosa serie di perdite -ha commentato Silvia Bagini-. Gli sono stati imposti dei limiti da dei decreti che non li hanno presi in considerazione. Sono stati privati della libertà e delle relazioni affettive proprio nel momento di massima esplorazione”. A fronte di queste perdite, gli adulti cercano di riempire il tempo degli adolescenti per evitare ogni forma di noia.

 

L’adolescenza è cambiata, cambia e cambierà
“Forse non ci siamo ancora resi conto che nulla sarà più come prima -ha continuato il professor Lizzola-. Viviamo nell’incertezza e per questo motivo guardiamo al futuro con inquietudine. L’adolescente è una cartina tornasole particolare. Non esiste un’adolescenza uguale all’altra perché essa viene condizionata dal tempo e dallo spazio. Cinquant’anni fa gli adolescenti vivevano in modo diverso. Oppure se pensiamo a un ragazzo in Libano ci rendiamo conto che ha un percorso di crescita diverso dal nostro immaginario. Quello che ci attende sarà un viaggio inedito di relazioni”.


Ciò che si è chiamati a fare è una reinvenzione delle proposte che sappiano adattarsi a tempi, spazi e adolescenti nuovi. I ragazzi avranno tra le mani delle responsabilità precoci e la comunità cristiana li saprà accompagnare solo se li spronerà ad andare verso la vita. Per fare questo servono degli adulti che diano una buona testimonianza e non solo. Bisognerà interrogare gli adolescenti su ciò che vorranno essere e diventare aiutandoli a guardare ai propri sogni. Non sarà un ritorno alle abitudini di prima, ma si farà spazio a cose nuove.

 

Guardare al futuro con una speranza comune
Per guardare al futuro senza inquietudine è necessaria una speranza forte e comune come sottolinea il professor Lizzola.  C’è chi spererà in un ritorno alla normalità, c’è chi avrà altre speranze, ma se si va incontro allo sminuzzamento delle prospettive sarà difficile trovare un orizzonte comune in un tempo che sta chiedendo nuove responsabilità. “Il futuro biografico e il tempo storico si intrecceranno -conclude il professor Lizzola-. Ci chiederemo quale augurio di mondo vorremo lasciare a chi viene dopo di noi. Ci fermeremo a riflettere e torneremo ad operare, ma con quale direzione? Se riusciremo ad adottare una veglia reciproca allora andremo incontro alle fragilità che si sono manifestate e che si manifesteranno”.


L’invito rivolto a tutti gli educatori è quello di non accantonare le situazioni di fragilità, ma di viverle a pieno per evitare che siano semplicemente rimosse. È richiesto un lavoro di consapevolezza per elaborare il trauma collettivo e superare le difficoltà. Oltre a coltivare la speranza, l’impegno di tutti è quello di non perdere il sentimento educativo. “Non perdiamo il desiderio di prenderci cura della vita di tutti e dell’umanità -ha concluso don Emanuele Poletti, direttore UPEE-. Non sappiamo se e come sarà il tempo dell’estate che ci sta davanti. Non dimentichiamo, però, perché in questi anni tanti adolescenti hanno scelto di impegnarsi in un’esperienza come quella dell’essere animatore. I ragazzi scelgono di diventare animatori perché entrano in contatto con la vita vera. Lì vengono responsabilizzati, lì fanno un’esperienza significativa. Non dobbiamo temere di riconnettere gli adolescenti con la vita vera. Soprattutto adesso e non solo per l’estate”.

 

 
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