Mettersi in cammino per educare alla fede

Educatore divento: il terzo appuntamento si sofferma sulla spiritualità

Educatori d’oratorio non si nasce, lo si diventa mettendosi in gioco -giorno dopo giorno- accanto a chi ci viene affidato. È un percorso che parte da una chiamata personale con il mandato di spendersi in un luogo che la Chiesa ha scelto e riscelto per l’educazione delle giovani generazioni. L’oratorio, oltre ad avere quasi mezzo millennio di storia, possiede delle caratteristiche ben precise tra cui le sue origini radicate indissolubilmente nel Vangelo. “Buoni cristiani, onesti cittadini” è una delle coordinate più famose che San Giovanni Bosco diede all’operato del suo oratorio e, la scorsa domenica, cinquanta educatori della diocesi di Bergamo si sono confrontati partendo da questa consapevolezza. 

Il terzo incontro del percorso formativo “Educatore divento” ha posto al centro la spiritualità. L’appuntamento, dal titolo “Essere educatori… di Parola”, ha riletto il ruolo che gioca la relazione con Dio nella vita di ciascuno, in quella degli adolescenti e, infine, in oratorio. Riprendendo dei concetti emersi negli incontri precedenti, gli educatori si sono ritrovati a “fare i conti con Dio” e con la spiritualità, dimensione essenziale della vita di ogni persona, e dunque dell’esperienza in oratorio. 

Essere educatori “di Parola” significa, innanzitutto, essere uomini e donne che si alimentano alla scuola del Vangelo, per farlo diventare stile di vita, e dunque educativo. La “Parola” sulla quale si fonda l’essere educatore in oratorio, infatti, è una “Parola” che ha preso corpo (e il Natale alle porte ce lo ricorda!), entrando nel corso della storia: non rimane lontana o intangibile, ma abita la quotidianità di ciascuno. Educatori, adolescenti, sacerdoti e adulti si trovano tutti sulla stessa barca, a volte un po' sfiduciati e stanchi, con le reti della pesca vuote, ma capaci ogni volta di gettarle nuovamente in mare, sulla sua Parola. Per questo motivo, l’incontro è iniziato dalla prospettiva più personale: partendo dalla propria relazione con Dio, gli educatori si sono confrontati facendo un punto della situazione circa la propria fede.

Dalla domanda “Chi è Dio per me?” si è giunti alla condivisione e al racconto che si desidera fare a chi si incontra, alle buone prassi sperimentate per parlare di Dio a un adolescente. Non è semplice, perché viene percepita come una proposta scomoda e controcorrente, non esattamente “alla moda”. Nel tempo dell’adolescenza, in cui ogni relazione viene messa in discussione, anche quella con Dio non viene risparmiata: si tratta di passare da una frequentazione proposta da genitori e catechisti a una scelta personale, che può dare senso alla propria vita. Le modalità, attraverso cui poter accompagnare gli adolescenti in questo cammino di fede, sono differenti e chiedono costantemente di mettere al centro la vita di tutti coloro che vi sono coinvolti. L’educazione alla fede è un coinvolgimento a 360° del nostro essere uomini e donne: affetti, relazioni, sentimenti, esperienze, scelte. Ci sono occasioni nelle quali può essere più efficace un annuncio implicito in cui si evita di nominare esplicitamente Dio e la fede, ma attraverso cui si vive lo stile del Vangelo tramite gesti o esperienze concrete. Altre nelle quali è opportuno dare voce alla Parola come capace di orientare nelle scelte e nella lettura della realtà nella quale siamo immersi: come guardare con gli occhi di Dio? Come abitare da cristiani le situazioni della nostra vita? Servono poi occasioni formali nelle quali si invitano gli adolescenti a sperimentare la preghiera e a vivere le liturgie, pensate ad hoc per loro ma anche con tutta la comunità cristiana che li accompagna e verso cui sono destinati. Infine, esiste anche la via dell’informalità caratterizzata da situazioni o confronti nella vita quotidiana come la chiacchierata sulla panchina, la camminata in montagna o momenti di condivisione in vita comune nelle quali le domande a bruciapelo degli adolescenti chiamano in causa la vita degli educatori e le motivazioni della loro scelta di cura. Tutte modalità che non sono oppositive l’una dall’altra, ma coesistono dentro il cammino che si compie insieme, la navigazione che siamo chiamati a condividere. 

Posti di fronte a queste differenti modalità di educare alla e nella fede, infatti, agli educatori è stato chiesto di posizionarsi rispetto a quella che hanno sentito più efficace nella loro storia educativa, raccontando quella volta in cui si sente di essere riusciti a far fare esperienza di Dio agli adolescenti. È stato un modo per condividere degli strumenti preziosi ed efficaci, ma anche per evidenziare come non si è soli a portare avanti questa missione. Nell’essere educatori degli adolescenti, la relazione personale con Dio non è semplice da far emergere, ma giocarla con gli adolescenti non è impossibile e la possibilità di farlo insieme ad altri dona a tutti un punto di incontro prezioso grazie a idee ed esperienze differenti. Il valore dell’essere gruppo può aiutare ad abitare i diversi stili, tutti fondamentali, attraverso cui educare alla fede.  

Tornando a casa, gli educatori portano con sé parole e prospettive nuove con cui arricchire la loro testimonianza e un compito: prendersi cura della propria relazione con Dio in questo Tempo d’Avvento. Come hanno fatto nella chiusura della mattinata quando, pregando di fronte al tabernacolo, hanno affidato la loro semina a Dio seminatore. 
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