Il Giubileo ci insegna a coltivare la speranza
Di ritorno dal Giubileo ci si chiede "Com'è andata?": il racconto dell'oratorio di Chiuduno
Quando si torna a casa da una qualsiasi esperienza, c’è un capitolo finale che attende tutti: il ritorno. Nonostante il viaggio sia volto al termine, questa è una parte delicata di cui prendersi cura per far sì che le emozioni emerse possa decantare e permettere a tutti di far tesoro dei giorni trascorsi insieme. Tra le domande che gli adolescenti dell’oratorio di Chiuduno si sono sentiti rivolgere al loro rientro a casa, ci sarà stata anche la classica “Com’è andata?” che già negli ultimi momenti in pullman echeggiava tra i ragazzi.
L’esperienza dell’oratorio di Chiuduno
Rachele Prestini è una delle educatrici dell’oratorio di Chiuduno che ha accompagnato gli adolescenti al Giubileo e all’interrogativo “Com’è andata?” risponde semplicemente “Bene!”. “Credo sia la parola più giusta, ma anche riduttiva al tempo stesso -prosegue-. Bene perché abbiamo partecipato a un evento raro e che si è trasformato in unico, vista la concomitanza con i funerali di Papa Francesco. Si è sentita particolarmente la sua mancanza: è stata una guida per le giovani generazioni e ascoltare le sue parole avrebbe fatto la differenza. Nonostante ciò, ho sempre visto i ragazzi con il sorriso, capaci di percepire il Giubileo come un’occasione per fermarsi, riflettere e gioire”.
I giorni a Roma sono stati vissuti nel perfetto stile del pellegrino dai passi macinati in giro per la capitale al campo base nella fiera di Roma fino alla semplicità e alle emozioni legate all’attraversamento della Porta Santa. Momenti intensi che hanno colpito molto anche gli educatori per il modo con cui gli adolescenti hanno vissuto questi istanti. “Lo spirito di adattamento, la semplicità e il desiderio di incontro con cui hanno vissuto il Giubileo ha molto da insegnare anche a noi educatori -racconta Rachele-. Questa è stata un’occasione per “uscire da Chiuduno” è incontrare altri oratori, la realtà diocesana e il mondo intero. E loro vi ci sono buttati a capofitto, con il sorriso sulle labbra e affrontando le fatiche insieme con tanto impegno”.
Cosa ci porta a casa?
Caratteristiche che emergono anche dalle parole scelte dagli adolescenti dell’oratorio di Chiuduno per descrivere il Giubileo. Unione, movimento, luce, amicizia, fatica, gratitudine, cammino e riflessione è quanto emerso dai racconti sul pullman del rientro e Rachele aggiunge un ulteriore tassello all’esperienza “impegno”. “Il Giubileo è impegnativo a livello fisico, mentale e spirituale. È proprio questo che aiuta la preghiera e la riflessione: uscire dai propri schemi per sperimentare qualcosa di unico. Credo che la parola “impegno” sia molto bella perché tiene conto della fatica, ma allo stesso tempo anche del desiderio di esserci, la persistenza e la soddisfazione nell’ambire al raggiungimento di una meta da cui ripartire”.
E dopo tutta questa intensità, questo impegno, questo Giubileo: dopo tutto questo come si torna alla quotidianità all’oratorio di Chiuduno? “Custodendo la memoria di ciò che abbiamo vissuto, pregando e riportando nella vita di tutti i giorni quelle piccole cose che abbiamo vissuto, magari imparato, e ci hanno colpito -conclude Rachele-. Torniamo a casa con uno stile da esercitare nel quotidiano e che, anche nei dettagli, può insegnarci qualcosa”.
“Ed è uno stile che non si arresta di fronte alle difficoltà, alle malinconie o alle giornate no. Si tratta di vivere coltivando la speranza da cristiani. Anche Papa Francesco l’ha scritto: la speranza non delude. È un concetto così importante e grande che ha scelto di dare questo titolo alla bolla d’indizione del Giubileo andando controcorrente rispetto alla società odierna. Ciò che ci portiamo a casa è la promessa di permettere alla speranza di trapelare quotidianamente nel nostro vivere, nelle nostre vite”.